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San Giovanni a Piro, situato nel Cilento, fu fondato dai monaci basiliani nel 990 d.C. alle falde del Monte Bulgheria. Prosperò nonostante incursioni saracene e pestilenze, divenendo un importante centro culturale e agricolo

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13 settembre 2023

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San Giovanni a Piro, situato nel Cilento, fu fondato dai monaci basiliani nel 990 d.C. alle falde del Monte Bulgheria. Prosperò nonostante incursioni saracene e pestilenze, divenendo un importante centro culturale e agricolo

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title Introduzione - All’estremità meridionale del Golfo di Salerno si delinea, con una forma trapezoidale, la terra del Cilento. Le zone montuose, spesso impervie e selvagge, ne rappresentano lo scheletro orografico, i tanti paesi, ricchi di storia e di arte, la linfa vitale. Non vi è contrada cilentana che non abbia avvenimenti da raccontare, tradizioni da mostrare, storie da far rivivere. Mulattiere, scale, ricoveri, muri di sostegno e una serie interminabile di coperture con spioventi e tegole laterizie disegnano luoghi dove l’uomo e la natura sono perfettamente integrati fra loro. Nel basso Cilento San Giovanni a Piro è uno dei tipici, piccoli centri, un angolo di mondo dove un carattere di compattezza contraddistingue la struttura urbana. L'agglomerato urbano, stretto in un unico abbraccio per evidenti scopi protettivi, erige le sue case quasi l'una sull'altra in un disegno edilizio fatto apposta per restare uniti nell’ora del pericolo. Lungo stradine acciottolate e stretti passaggi che sfuggono in mille direzione il nucleo abitativo " eleva i suoi comignoli fumiganti nell'azzurro terso del cielo".
Con questa citazione ci piace ricordare l'opera "Il Cenobio Basiliano di San Giovanni a Piro", scritta nel 1960 da Ferdinando Palazzo, che, con estrema scrupolosità e ardente passione, ha garantito alle generazione future un imperituro ricordo di tutto ciò che accadde alle falde del monte Bulgheria intorno all'anno mille. Corre l'obbligo di ringraziare, inoltre, Angelo Guzzo, autore di tante opere sul Cilento. In questa sezione storica ci siamo appropriati più volte di sue espressioni, perché ben rappresentano le bellezze della nostra terra.

Popolazione Bulgara - Il ciclopico monte di Bulgheria domina e protegge, con la sua mole il Ceraseto, il luogo delle memorie e dei culti antichi del paese, il cuore di una civiltà sopravvissuta alle orde barbariche, ai saccheggi e alle devastazioni. Qui, dove il declivio diventa più dolce, i ruderi sparsi del celebre Cenobio, intitolato a San Giovanni Battista, sembrano raccogliere, come parlanti reliquie, le testimonianze dei secoli andati. Il monte Bulgheria pare abbia preso il nome da una colonia di Bulgari stanziatasi in questo estremo lembo del Cilento intorno al 670 d.C. I Bulgari, originari dell’Europa centro-orientale, arrivarono in Italia fra il IV e il IX secolo. Giunti nei pressi di Capo Palinuro, occuparono le falde del Monte Bulgheria entrando per la gola della Tragara, unica via d’accesso all’entroterra. Si adattarono in un primo tempo nelle grotte del monte, successivamente, sulle colline e sulle alture, dando origine a borghi e villaggi. Nonostante avessero trovato l’Italia in condizioni deplorevoli per le funeste conseguenze delle invasioni barbariche, della peste e della carestia si fermarono nelle nostre regioni. La ragione del loro insediamento in questi luoghi fu soprattutto quella di popolare e porre a coltura terre deserte abbandonate.

I monaci Bizantini tra il VIII e il XI secolo - Tra il IV ed il IX secolo il Sud e, in modo particolare il Cilento, lungo la costa si presentava pressoché disabitato. Le incursioni dei pirati saraceni avevano creato un grande vuoto e soltanto all’interno, aggrappati alle rocce, sospesi sulle colline esistevano villaggi e piccoli centri La ripresa sul territorio ebbe come protagonisti proprio i centri monastici, da cui partirono le opere di bonifica, di messa a coltura dei campi e la formazione di piccoli villaggi agricoli che avevano il compito di assistere viaggiatori, mercanti e pellegrini, oltre che incrementare il lavoro, il reddito e la popolazione. Queste famiglie religiose furono uno dei più potenti elementi di diffusione della lingua, del rito e della cultura bizantina, tra l'VIII ed l' XI secolo. Erano monaci che prendevano ispirazione per la loro vita religiosa dagli scritti ascetici e teologici di S. Basilio. La loro attività andava dalle opere di agricoltura, alla trascrizione dei codici, allo studio e alle discussioni teologiche. I monaci, convinti della transitorietà della natura umana, si sentivano estranei alle loro stesse abitazioni, per questo motivo i loro monasteri erano poveri e disadorni, per niente assimilabili alle moderne strutture religiose. I cenobi più piccoli erano chiamati celle o eremiti, denominazioni passate poi, a dare il nome ad alcuni paesi, come Celle di Bulgheria ed Eremiti. Nei cenobi la vita si svolgeva facendo ogni sorta di lavoro. L'opera dei monaci basiliani fu imponente. Resero fertili zone selvose, fecero piantagioni, costruirono frantoi e mulini, ripararono strade, bonificarono zone allagate dalle acque, costruirono villaggi agricoli destinati a svilupparsi in importanti centri urbani. Nel 990 d.C. fondarono a S. Giovanni a Piro l’Abbadia di S. Giovanni Battista.

Tracce della vita basiliana - I frati basiliani, dopo aver eretto il nuovo Cenobio, dovettero ben presto badare alla propria sicurezza, in quanto, per l’assoluta impossibilità di difesa, nulla avrebbero potuto fare contro eventuali incursioni e attacchi da parte della pirateria barbaresca. Nella parte occidentale dell’Abbadia, a qualche metro di distanza dall’annessa chiesa, fu costruita dunque, a scopo di difesa e di avvistamento sul mare, una massiccia torre merlata dell’altezza di circa 20 metri. Di queste costruzioni esiste intatta la chiesa ed in ottime condizioni la torre, mentre del convento rimangono solo pochi ed informi ruderi, dai quali non traspare alcuna traccia dell’antica gloria. Sia la chiesa che la torre, per maggiore sicurezza in caso di pericolo, erano collegate, probabilmente attraverso un lungo camminamento sotterraneo, ad una grotta nel fianco orientale del Monte di Bulgheria. Esistono tuttora, in questo luogo, resti di antiche costruzioni murarie erette a scopi protettivi. Dell’esistenza di tale rifugio si ha testimonianza in una delle norme contenute negli Statuti del Gaza, con la quale viene imposto all’Università del casale di S. Giovanni a Piro di ricompensare il guardiano della grotta. Il Palazzo ci parla, inoltre,di una cripta sotterranea che, forse, veniva impiegata per la celebrazione di alcuni riti, la quale aveva sul muro del lato nord le tracce di un'antica apertura, cosa questa che accredita l'ipotesi secondo la quale la chiesa sarebbe stata collegata alla grotta. Tale ipotesi, però, non ha potuto trovare conferma per l'ignoranza del clero che, dopo averla divisa in settori, fece di detta cripta delle macabre fosse carnaie, che andarono in disuso solamente nel 1936, quando fu posto in esercizio il nuovo cimitero. Solo recentemente, per interessamento e su proposta dell’Ispettore Onorario alle antichità e ai monumenti storici del Golfo di Policastro, prof. Angelo Guzzo, il Cenobio e l’area circostante sono stati sottoposti a vincolo monumentale dalla Soprintendenza ai BAAAS di Salerno.

La figura di Teodoro Gaza e i suoi statuti - Teodoro Gaza, nacque a Tessalonica, nel 1398. Chiamato dal cardinale Bessarione arrivò a S. Giovanni a Piro nel 1462 e, proprio grazie alla sua spiccata personalità e ai suoi studi, l'Abazia ebbe un nuovo assetto e nuove normative. Il 7 ottobre del 1466, dopo quattro anni di duro lavoro, durante i quali si era valso dell’aiuto di esperti giuristi, compilò gli “Statuti” o “Capitoli” della terra di S. Giovanni a Piro. Un piccolo codice, composto originariamente da 49 articoli, che regolava i rapporti tra il Cenobio e il casale di S. Giovanni a Piro. Presentava norme di diritto Civile, Penale, Amministrativo e di Pubblica Sicurezza ed altri regolamenti per la tutela della proprietà e dell’amministrazione della giustizia. Si dovette, però, aspettare il 1520 per conferire forma pubblica agli "Statuti del Gaza" che, nella stessa data, vennero anche accettati e sottoscritti dagli esponenti politici del luogo. Il Gaza durante il suo mandato viaggiò molto, ma i suoi ultimi giorni trascorsero, dice il Palazzo, “nella verde oasi e nel mistico silenzio delle sacre mura che lo avevano accolto e confortato dopo il suo lungo peregrinare”. Si spense nel 1475 e fu seppellito nella chiesa del Cenobio di S. Giovanni Battista, come attesta una lapide di marmo. Il Cirelli autore del “Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato” a proposito degli “uomini distinti” cita “Primo tra tutti per tempo e per sapere (...) Teodoro Gaza, uomo di greca eccellenza, di cui tutti sanno”. I cittadini di S. Giovanni a Piro, ad imperitura memoria, hanno dedicato al Gaza la Scuola Media Statale, una via ed un piazza nei pressi della Chiesa Parrocchiale di S. Pietro Apostolo.

Assalti dei pirati Turchi - Nel XVI secolo S. Giovanni a Piro, al pari dei vicini centri costieri fu a lungo perseguitato dalle continue e martellanti scorrerie dei pirati. Una prima terribile incursione il borgo la subì nell’agosto del 1533 quando fu assalita dal corsaro turco “il Giudeo”, agli ordini di Khair-ed-Din Barbarossa. Il corsaro sbarcò alla Marina dell’Oliva, odierna Scario, uccidendo e facendo schiave circa ottanta persone. I Padri Basiliani, in seguito alla terribile incursione, in comune accordo con i cittadini e gli esponenti dell’Università di S. Giovanni a Piro, ritennero opportuno cingere di mura tutta la zona che conteneva il complesso abitato. Il paese subì un’altra incursione nel 1543, come leggiamo da un’ordinanza dell’abate De Tommasi che incriminava il custode della torre per aver trascurato i suoi doveri e aver permesso che i Turchi facessero schiave sei persone del posto.
Una sciagura ancora peggiore si abbattè su S. Giovanni a Piro la domenica del 10 luglio 1552. Il corsaro turco Dragut Rais Bassà sbarcò alla Marina dell’Oliva con 123 galee assalendo nello stesso tempo Vibonati, S.Giovanni a Piro, Bosco, Torre Orsaia, Roccagloriosa.


Ultime vicende - Nell’anno 1561 l’antico Cenobio si presentava ormai in completo sfacelo, in pieno abbandono e quasi deserto. Venuta meno la funzione di centro ascetico e culturale, il Cenobio basiliano passò, nel 1587, a far parte, insieme con altri monasteri ed abbadie del Meridione, del ricchissimo patrimonio della Cappella Sistina di Roma. Fu incaricato per l'amministrazione dell'Abbadia il vescovo di Policastro, Mons. Ferdinando Spinelli. Decisione, questa, sicuramente non saggia se si pensa che di lì a poco i conti Carafa della Spina, signori di Policastro, si appropriarono di quelle terre stabilendovi la propria dimora. Il vasto territorio di S. Giovanni a Piro divenne ben presto un vero e proprio feudo diocesano con indebiti arricchimenti e con oppressioni e soprusi di ogni genere. Le autorità civili del paese, insieme ai privati, denunciavano tutti i soprusi commessi dal conte e dalla contessa di Policastro nei confronti dei cittadini, chiedendo a Roma di intervenire. Finalmente, dopo anni di indifferenza e di inerzia, raccolte le suppliche e le lamentele dei cittadini e di cospicue personalità di S. Giovanni a Piro, il Consiglio d’Amministrazione della Cappella Sistina incaricò di far luce sulla questione l’avvocato Di Luccia, conferendogli regolare mandato. Il giurista accettò di sostenere le ragioni dell’Università di S. Giovanni a Piro riuscendo a porre nel giusto risalto la gravità della situazione e le indebite appropriazioni dei conti Carafa di Policastro. Dal 1700 nessun’altra notizia si ha più della gloriosa Commenda Basiliana. S. Giovanni a Piro incominciò il suo ritmo normale di vita, con amministrazione propria ed in conformità delle norme legislative che venivano man mano evolvendosi. Per la ristrettezza dei mezzi economici, ma specialmente per la disagevole posizione topografica, il piccolo centro camminò assai lentamente sulla via della civiltà e del progresso. Contribuirono a rallentargli il passo altre tristi vicende che si abbatterono con particolare violenza sull’intera regione. Nell’anno 1656 nel Regno di Napoli infierì orribilmente la peste che, dalla capitale, si estese rapidamente nel Salernitano e nel Cilento mietendo migliaia di vittime. Un secolo più tardi, il paese fu spietatamente decimato dalla carestia, che si ripeté, con conseguenze ancora più disastrose e mortali nell’anno 1817. Nell’anno 1806 agli eventi naturali si aggiunse, poi, la mano dell’uomo. Arrivarono in paese le truppe di Gioacchino Murat, che si scatenarono contro il Santuario di Pietrasanta, avendolo scambiato per una fortezza .


Origine del paese
Verso l’anno 990 d.C., i monaci basiliani provenienti dall’Epiro fondarono, in località Ceraseto - così denominata perché all’epoca ricchissima di piante di ciliegio - l’Abbadia di S. Giovanni Battista. Il Cenobio, diretto da illustri studiosi ed umanisti, fu uno dei più importanti monasteri del monachesimo greco dell’Italia Meridionale. Le notizie più cospicue ed attendibili sull’origine del Cenobio e della comunità di S. Giovanni a Piro, ci vengono fornite dall’avvocato Pietro Marcellino Di Luccia. Questi, in una sua opera del 1700, ci ha lasciato validi e sicuri elementi per la formazione di un attendibile disegno storico della cittadina. L’importanza della sua documentazione è notevole in quanto egli poté consultare documenti oggi scomparsi. Il territorio dove sorge il Cenobio, posto alle falde del monte, costituiva un rifugio sicuro e pressoché inattaccabile. I frati basiliani cercarono subito di iniziarne la coltivazione, dando notevole impulso, oltre che a colture di ogni genere, anche all’industria armentizia, in modo da garantire al sorto cenobio una cospicua e necessaria risorsa economica che assicurasse una completa indipendenza ed una vita propria alla nuova comunità. I monaci basiliani, oltre a servirsi dell’operosa attività della scarsa popolazione del vicino nucleo abitato, chiamarono sul posto anche numerosi coloni dei villaggi circostanti che ben presto si stabilirono anch’essi ai piedi del monte di Bulgheria. Un primo nucleo abitato degno di tale nome sorse, sul territorio ove è oggi S. Giovanni a Piro, soltanto nei primissimi anni del X secolo, quasi sicuramente dopo la terribile distruzione della vicina Policastro del 915 ad opera dei Saraceni agropolitani. I numerosi policastresi scampati alla rovina decisero di abbandonare la costa e rifugiarsi in luoghi più sicuri e nascosti.. La popolazione crebbe in modo notevole, nuove dimore furono costruite, ed il piccolo centro diventò ben presto un vero e proprio borgo che, traendo il nome dal titolo della vicina Abbadia basiliana, cominciò a chiamarsi S. Giovanni a Piro.

Origine del toponimo - Se gli storici si sono trovati quasi tutti d’accordo sulle vicende che hanno determinato la nascita del paese, non altrettanto si può dire per quel che concerne la derivazione filologica del toponimo “a Piro”. A molti è piaciuto ritornare ad un lontano passato per ricercare la sua origine da “ton-apeiron”, termine greco che , secondo quanto scrive il Cappelli, uno tra gli studiosi del monachesimo basiliano nell’Italia meridionale, vuol dire “il remoto”, “il nascosto”, alludendo proprio all'invidiabile posizione geografica che aveva l'abbazia. Un'altra ipotesi lega il suddetto toponimo alla distruzione di Policastro, ricordando un altro vocabolo greco “pur-roV” che significa appunto “fuoco”. Altri storici ritengono che il toponimo in questione faccia riferimento all'usanza dei profughi di rinnovare le memorie dell’abbandonata patria, per cui con il termine “ab Epiro”, mutato poi, col passare dei secoli in “a Piro”, si intende proprio il luogo di provenienza dei frati di San Basilio. A sostegno di tale tesi concorrerebbe lo stemma vescovile di Monsignor Fra’ Nicola, eletto Vescovo di Policastro nel 1417, mentre era alla direzione del Cenobio Basiliano, stemma su cui si legge, tra l’altro: “Nicolaus ... Sancti Ioannis ab Epiro”. Tra tante sofisticate e colte spiegazione emerge quella del Di Luccia che, "secondo quanto intese per tradizione dai vecchi di detto paese", trae l’essenza storica del toponimo dal dialetto indigeno. Nel linguaggio volgare pare, infatti, che il termine derivi da “piro”ovvero da albero di pero, in quanto nel luogo del sorto villaggio vi era appunto un grande albero di pero. Oggi, concorde con tale tesi, lo stemma del Comune rappresenta una pianta di pero con due leoni rampanti a testimonianza della decisa volontà del popolo di resistere, ad ogni costo, alle difficoltà.

Analisi del paese - Il tessuto edilizio di San Giovanni a Piro, situato a 450m. s.l.m., si svolge sulle linee tradizionali di una architettura fondata sul perseguimento di una elementare aderenza ai bisogni dell’uomo che, all’epoca della fondazione, erano quelli della difesa e della sicurezza. Le case del centro storico sorgono aggrappate l’una all’altra, con un prezioso risparmio di mura, separate da passaggi strettissimi, legate da ripide e lunghe scalinate. L’insediamento più compatto del paese è dominato dai caratteristici profili della Chiesa madre e della torre campanaria. Chiuso un tempo da mura, è oggi di difficile accesso e quasi impenetrabile alla circolazione veicolare. L’insediamento sparso è piuttosto raro e si riferisce in generale all’ultima fase della edificazione, legata alla diffusione di case per vacanze e ville. L’intensità della storia vissuta si manifesta pienamente nell’aspetto attuale del paese, che trasmette al visitatore una forte e suggestiva atmosfera di antichità. La caratteristica primaria dell’insediamento è la sua spontanea integrazione nell’ambiente paesaggistico, nel quale si prolunga con muri di confine, terrazzamenti, muretti di sostegno e viottoli pavimentati, che sono stati costruiti utilizzando la stessa pietra calcarea che è servita nei secoli a costruire le case. Percorrendo il nucleo più antico di S. Giovanni a Piro si può intuire quella che era la tipologia della casa contadina, un semplice cubo, con modeste aperture che si riproduceva, proprio in virtù dell’andamento accidentato del terreno e dei dislivelli, con una ripetitività tale da non raggiungere mai effetti di monotonia. L’abitazione era definita dalla sovrapposizione ad uno o più vani terranei, di vari ambienti quali la cucina, la dispensa, la stanza per la panificazione, la camera da letto, serviti con scala esterna in pietra da taglio o in muratura addossata alla facciata. La costruzione esterna della scala, frequente nel nucleo più antico del paese, era legata sia alla morfologia urbana che a problemi di spazi, ma era anche elemento di facciata che conferiva al manufatto edilizio un raccordo più articolato con il suolo. Sotto il ballatoio vi era un locale destinato al ricovero degli animali e quindi necessariamente separato dall’abitazione. I materiali usati nelle costruzioni erano quelli presenti sul territorio e i più semplici da mettere in opera. Si trattava prevalentemente di pietra calcarea, legno d’ulivo, di castagno e di quercia, terracotta d’argilla gialla cilentana. Le pietre provenivano dalle cave locali o da quelle vicine di Roccagloriosa e San Severino.

I borghi "Paese e Tornito" - San Giovanni a Piro è caratterizzato da due nuclei abitativi principali, conosciuti come il “Paese” e il “Tornito”. Il paese ha avuto origine in seguito allo spostamento dei monaci italo-greci, fondatori dell’Abbadia di S. Giovanni a Piro, dal luogo del Ceraseto ad una zona ad esso poco distante. Un luogo scelto, ancora una volta, per la sua configurazione naturalmente idonea alla difesa, accessibile solo da Pietra Pacifica e da piazza dell’Aquila. Le abitazioni sorsero intorno ad una cappella (distrutta negli anni ’70) che fu la prima chiesa del paese. In questo primo nucleo i fabbricati sono addossati gli uni agli altri, costituendo delle vie a gradini strette e ripide e dando origine ad un sistema difensivo compatto. Successivamente con la costruzione della chiesa di S. Pietro Apostolo si verificò una nuova aggregazione caratterizzata da vie più larghe di quelle del nucleo primitivo. Questi nuclei del paese, in seguito alle incursioni corsare e piratesche, furono, nel 1500, protetti con delle mura. Nel perimetro delle mura furono aperte cinque porte d’accesso al paese, ubicate nelle odierne via Pietra Pacifica, via dell’Aquila, via Roma, via Teodoro Gaza, e via Capocasale, che doveva costituire l’accesso principale. Ne possedeva il controllo un “castellano”, che le chiudeva al sopraggiungere della notte. Mura e porte furono, in seguito, demolite per comodità dei cittadini stessi, quando, con la cacciata dei barbari e con la definitiva sconfitta dei pirati, il popolo potette, finalmente, ritrovare tranquillità e fiducia nell’avvenire. Il “Paese” nasce, quindi, come nucleo principale, il “Tornito” (denominazione che pare si spieghi con il “vai e torna” dalle mura cittadine) come una sua diramazione. La conseguente subordinazione creatasi tra i due borghi produsse un antagonismo tale da spingere il rione Tornito a incrementare il suo sviluppo verso la piena autosufficienza. Si rese necessaria, a tal proposito, la costruzione di un nuovo luogo di culto che, al pari di quello che aveva già radunato le case del "Paese", raggruppasse le abitazioni del "Tornito". Nel 1940 esisteva ancora tra i due nuclei un muro di separazione - abbattuto, in seguito, per fare spazio alla strada di collegamento con Camerota - e solo una stretta stradina di collegamento, per evidenziare in modo decisivo la volontà del nuovo rione di differenziarsi dal "Paese". Al rione Tornito, quindi, si accedeva, preferibilmente, dalla parte opposta, precisamente da via Fontana, detta anche “Scisa o’ turnito”. In quei pressi si trova una fonte d’acqua detta appunto “la fontana”, con iscrizione del 1778, da cui deriva il nome della strada, che rappresenta un’importante risorsa e un lavatoio per le donne. Ancora oggi le donne vi si recano portando sul capo cesti di biancheria, lavata poi con sapone di potassio.

Chiesa parrocchiale S. Pietro Apostolo
Nella piazza dedicata al Gaza sorge la chiesa intitolata a San Pietro Apostolo. Non abbiamo notizie certe sulla data della sua fondazione, ma, da due cappelle interne datate rispettivamente 1560 e 1576, risulta che essa esisteva già nel sec. XVI. Il campanile, che vediamo oggi emergere tra le case del paese, è del 1701. Fu rifinito ed abbellito con l’ultimo tetto a terrazzino nel 1725.
La facciata della chiesa è decorata con il giglio, simbolo del regno borbonico che spicca sullo scarno prospetto privo di ordini architettonici. L'edificio è a tre navate e presenta semplici fregi, ma in passato, come testimoniano vecchie immagini in bianco e nero, i decori erano in stuccatura marmorata.
La navata centrale è lunga circa m.18 e larga m.7,80 ed è separata dalle laterali, larghe m.3,10, da 4 arcate a tutto sesto rette da pilastri di m.1,02 x 1,40. Lungo le navate laterali spicca l'altare dedicato a S. Marcellino caratterizzato da una statua in legno all'interno della quale è conservata una reliquia del Santo.
Alla sinistra dell'entrata della chiesa, infissa nel muro, è collocata la lapide della tomba di Teodoro Gaza. Questa fu rinvenuta nella chiesa del convento Basiliano e posta, in un primo tempo, alla metà del pavimento della navata principale. Per questo motivo, logorata dal continuo calpestio dei fedeli, è ormai quasi priva di caratteri.
Dalla navata centrale si accede, con tre gradini, al presbiterio, dove si possono ammirare due altari, uno antico del ‘700, l’altro moderno. Il primo, dedicato agli apostoli Pietro e Paolo, rappresenta l’arredo di maggior pregio con due bellissimi angeli in marmo bianco posti a guardia del ciborio in ottone e con decorazioni ad intarsio di pietre e marmi policromi.
Di grande pregio artistico è l’Acquasantiera in pietra locale di cui ignoriamo epoca e artista. Al suo lato destro è posto un grande Crocifisso.
Sul lato destro della chiesa si trova la cappella della Congrega ove un tempo si celebravano le messe conventuali. Questa rappresenta, probabilmente, la struttura originaria della chiesa la cui forma era quella di una croce latina. Oggi presenta una sola navata, poiché successive ristrutturazioni ne hanno eliminato il braccio del transetto sinistro e nascosto quello di destra. Nella congrega si possono ancora ammirare i resti del pavimento maiolicato dell’ottocento e un pregevole altare in marmo del 1596 sovrastato per lungo tempo da un maestoso quadro su tela di datazione incerta e autore ignoto, che raffigura una commovente rappresentazione della Pietà. Oggi tale quadro, in seguito agli ultimi lavori di ristrutturazione, eseguiti nel 1998, è stato collocato sull’altare maggiore sostituendo la statua del Gesù Crocifisso.

Chiesa di S. Gaetano da Thiene - La chiesa di S. Gaetano da Thiene fu costruita, fuori le mura del paese, probabilmente, intorno al 1660 sotto il papato di Alessandro VII. Fu la terribile peste del 1656 ad ispirare l’edificazione del tempio dedicato in un primo momento a S. Rosalia, come fu fatto a Lentiscosa, non molto lontano, nel circondario di Camerota. Ancora oggi l’intitolazione originaria è rievocata dalla toponomastica locale e dalla statua della Santa palermitana posta sulla facciata della chiesa. Nel 1786 apparve per la prima volta in chiesa, eretto dal Comune, l’altare di S. Gaetano, e soltanto nel 1888 la chiesa venne intitolata definitivamente a S. Gaetano da Thiene. L’edificio, a forma di croce latina, presenta una sola navata, con un portale d’ingresso del 1813 ed un altro piccolo ingresso laterale. All'interno, sull’ingresso principale, spicca l’antica cantoria, dove, fino a qualche anno fa, un organo a canne accompagnava i canti liturgici. Il dipinto centrale sotto la volta, eseguito nel 1979 dal pittore D’Angelo, raffigura S. Gaetano inginocchiato e adorante davanti al Ministero di Dio. Sul presbiterio affaccia il raffinato e prezioso pulpito in legno di noce scolpito da Nicola De Belli nel 1831 con raffigurazioni sacre. L’altare maggiore è rivestito con preziosi marmi lavorati con una difficile tecnica settecentesca di intarsio di pietra e marmi tanto rari quanto preziosi. L’abside, invece, è dominato dalla statua dell’Immacolata affiancata ai due lati e più in basso da due statue più piccole. In fondo alla chiesa ammiriamo una tipica acquasantiera scolpita in pietra locale. Dall’interno della chiesa si accede al campanile, oggi in pessime condizioni, che alla base presenta una forma quadrata e culmina, con pianta policentrica, in una cuspide tipicamente moresca.

Il Cenobio Basiliano - Sullo sfondo ameno del monte Bulgheria, nella suggestiva contrada Ceraseto, si scorgono i resti della gloriosa Abbadia Basiliana accanto alla quale si erge la torre merlata, testimone nei secoli dell’antica grandezza. La navata principale della chiesa è del 1417, anno in cui fu sostituita la copertura a capriate con delle volte a crociera e furono rinforzate le murature con dei contrafforti. Nell’abside vi sono tre nicchie vuote, ai lati, a destra e a sinistra, ben 72 vani marmorei, quasi tutti pieni di resti umani e sigillati da lapidi, con epitaffi ed epigrafi, della seconda metà del secolo scorso. Al lato nord, alla chiesa è addossato un vano più basso, caratterizzato, sul prospetto principale, da un archetto con dentro una campana. Se oggi la chiesa è ancora in piedi lo si deve alla presenza di contrafforti che ne rinforzano le mura. Secondo delle ipotesi avanzate da alcuni studiosi del luogo, la parte più antica dell’abbadia è l’oratorio. Questo, rivolto verso oriente, era composto da una piccola cappella, dall’antica torre e da alcune celle. I ruderi, oggi visibili a nord della chiesa, delineano probabilmente gli spazi occupati un tempo dalla foresteria, dalla cucina, dalle celle e dal refettorio. Al piano superiore di dette celle doveva trovarsi un unico locale probabilmente adibito a dormitorio accessibile da una scala situata all’interno di una delle celle. A circa 100 mt. da tale complesso si vedono tracce di muri, certamente appartenenti al convento. Quasi del tutto diroccato, a ovest, esiste un casolare, probabilmente costruito utilizzando le vecchie pietre del convento abbandonato.

La Stauroteca - La Stauroteca, cimelio di proprietà dell’antico cenobio di S. Giovanni a Piro, è una piccola croce di oro fino, decorata su entrambe le facce con smalti policromi. Gli studi condotti dal Lipinskj, in un suo studio pubblicato, nel 1957, sul bollettino della Badia di Grottaferrata, ci informano dell’esistenza di tale Stauroteca nella cattedrale di Gaeta, alla quale fu donata nel lontano 1534 dal cardinale Tommaso De Vio. Tale cimelio era, all’origine, destinato ad essere usato come croce pettorale, infatti, in alto ripiegato indietro, si vede un gancio. Il cardinale De Vio, nel donarla alla Cattedrale di Gaeta, la fece montare su di una base di discreto valore artistico dove ancora oggi si può ammirare. La Stauroteca è una croce bizantina, che come tante altre croci orientali ha i bracci verticali alquanto più lunghi di quelli orizzontali ed il braccio inferiore più lungo di quello superiore, inoltre è bivalve, si apre, cioè, verticalmente a metà del suo spessore. Come sempre nell’iconografia bizantina, sulla croce appare l’immagine di Gesù Crocifisso inchiodato. Nel lato posteriore, al centro della croce, in posizione dominante, vi è la figura della Vergine in piedi, che tende le mani in avanti tenendo i gomiti stretti al corpo, in un gesto poco comune di preghiera. La circondano quattro busti di Santi, ognuno con il proprio nome siglato. Questo cimelio, che certamente non è stato eseguito in terra italiana e tanto meno nel cenobio, dove lo trovò il cardinale Tommaso De Vio, pare che provenga da Costantinopoli, in quanto la maggioranza dei grandi reliquiari bizantini, sparsi nelle cattedrali d’Europa, si ricollegano al saccheggio di Costantinopoli del 1222. La popolazione sangiovannese, in memoria della Stauroteca, scolpì una croce in pietra, simile per forma ma di dimensioni maggiori, attualmente situata in via Teodoro Gaza.

 

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Ultimo aggiornamento: 03 luglio 2024, 12:18

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